Editoriale, N. 1 Nuova serie – Anno I 2005

EDITORIALE

Nove quaderni già pubblicati. E poi dieci Convegni e otto Seminari di formazione. Vale a dire: oltre un migliaio di persone – docenti, educatori, studenti, formatori, operatori delle professioni sanitarie; e poi ancora intellettuali, politici, sindacalisti – che in questi otto anni di vita sono stati direttamente coinvolti nelle attività di «Paideutika». Senza sottacere i molti volumi, individuali e collettanei, che, pubblicati con diverse case editrici, hanno costituito lo sfondo teorico ed operativo del gruppo di lavoro che ad essa fa riferimento, sino agli ultimi due – Il corpo spesso e In forma di tragedia – usciti rispettivamente nel 2001 e nel 2003 per i tipi di Utet-Libreria, nella collana Teorie dell’educazione. Ma anche senza dimenticare come a rendere intenso il tono dei discorsi sia sempre stata la generosa disponibilità di quanti – filosofi, sociologi, pedagogisti, storici, politologi; ed insieme a loro scrittori, poeti, psichiatri, psicologi, artisti – hanno portato con entusiasmo negli incontri e nelle pagine di «Paideutika» la loro intelligente profondità culturale. Il tutto a partire dal febbraio del 1997 – dal confronto appassionato di due giorni, alla «Mandria» di Venaria Reale, in quel di Torino – quando quel gruppo, che oggi si è ovviamente allargato e modificato, ha iniziato a porre la questione di una presenza formativa pronta ad entrare con radicale impegno critico nel novero delle discussioni e delle proposte che, in questo drammatico passaggio d’epoca, caratterizzano il nostro paesaggio culturale.

Orbene: quali le premesse di simile impegno?

Intanto – perché negarlo? – la necessità morale di stare in situazione, reagendo con fermezza alle nuove ed insistite forme d’evasione retorica in virtù delle quali il tema della formazione viene troppo frequentemente ricondotto nell’alveo dell’ideologia della fine delle ideologie. Ma poi, ed in necessaria connessione, la consapevolezza che solo restituendo il nostro impegno alla vita di cultura nelle sue infinite e problematiche manifestazioni è forse possibile, oggi, strappare le cose dell’educazione al linguaggio burocratico del pedagogismo corrente. Di più: che solo così diventa plausibile, anche in chiave etico-politica, interpellare la coscienza pedagogica su quel piano di responsabilità storico-culturale che, a dare ascolto ai suoi interpreti più smaliziati, ne fa non già mera tecnica di persuasione e di assimilazione sociale, quanto piuttosto statuto di civiltà e di cultura.

Eppure non si comprenderebbe davvero l’ ethos di «Paideutika» se non si dicesse, in contemporanea, come esso si riconosca nel solco di un pensiero che, giù per li rami di una decisiva tradizione teorica, ha trovato nella pedagogia fenomenologica un decisivo punto di riferimento metodologico. Un punto di riferimento, tuttavia, che, proprio per la natura critica ed antidogmatica delle sue premesse, non ha impedito a «Paideutika» di declinarsi, con autonomia di prospettive teoriche e pratiche, sul versante di una spiccata esistenzializzazione dei vissuti formativi. Sin a ritrovarsi nell’idea che meglio riassume, forse, il tono decisivo delle sue ricerche, laddove l’educazione venga intesa, da ultimo, come «esperienza vissuta dell’uomo in quanto cultura».

Di qui, certamente, un lavorìo di smascheramento costante dei valori correnti. Ma anche un impegno di proposta metodologica che, con evidente vocazione antiretorica, cerca di tradurre in pratiche pedagogiche – pratiche pur sempre segnate dall’esperienza dialettica di una «pedagogia come critica della pedagogia» – l’intransigente decostruzionismo formativo che ne connota da sempre la vita. Sempre che per decostruzionismo s’intenda, qui, non uno schema teoretico scolasticamente inventariato e compromesso, quanto piuttosto quel luogo di crisi e di critica radicale costantemente impegnato, senza ingenue ed arroganti presunzioni precettistiche, a decifrare ambiguità ed a proporre percorsi, nella convinzione che solo tramite il nesso formazione/cultura si fa visibile quel che il tecnicismo senz’anima dei saperi calcolanti tende, invece, ad occultare in nome e per conto di una visione della vita oggi tragicamente gravata dall’inganno della «razionalità spontanea della storia e dell’economia».

E’ dunque alla luce di tali premesse che «Paideutika», con un preciso gesto di maturità culturale e di correlativa assunzione di responsabilità formativa, diventa da ora in avanti un periodico semestrale. Un periodico accompagnato, sempre per i tipi di Tirrenia Stampatori, da una specifica ed omonima collana di studi. Una decisione attenta, con ciò, a sviluppare le direzioni implicite nella sua storia culturale – l’accentuato problematicismo delle sue premesse; il rigoroso andamento fenomenologico delle sue analisi critiche; l’esito neoesistenzialistico e per ciò stesso engagé delle sue scelte etiche – in vista di un duplice possibile obiettivo culturale. Per un verso quello di testimoniare il senso inesausto del pensiero radicale nel suo intrinseco significato di formatività. Per l’altro quello di documentare una idea tutt’altro che accademica di impegno educativo, nella concomitante certezza che non v’è pratica formativa che non sia, per ciò stesso, preciso gesto culturale.

Quale il destino di simile intrapresa?

Saranno i lettori a deciderlo, tanto quanto il loro convinto sostegno e la loro attiva presenza critica sapranno fare di questo rinnovato strumento uno strumento a disposizione di tutti. Un luogo di libertà teorica e di sperimentazione operativa che niente può promettere, in ultimo, se non di restare fedele ad un principio di intransigente onestà intellettuale. A qualcosa, cioè, che chiedendoci un esercizio costante di responsabilità culturale e sociale, non conosca contemporaneamente altro dèmone che non sia quello della nostra più aperta ed antidogmatica convinzione morale.

Antonio Erbetta