N. 13 Nuova Serie – Anno VII 2011 –  Drammaturgie della giovinezza

 

EDITORIALE

 

Ma chi ci ha rigirati così
che qualsia quel che facciamo
è sempre come fossimo nell’atto di partire? Come
colui che sull’ultimo colle che gli prospetta per una volta ancora
tutta la sua valle, si volta, si ferma, indugia –,
così viviamo per dir sempre addio.
 

Dedicare questi versi di Rainer Maria Rilke ad Antonio Erbetta è, per Paideutika, un modo per evocarlo e un tentativo di rendere omaggio alla sua generosità, umana e culturale. A lui è dedicato il numero della Rivista, poiché ad esso Erbetta ha lavorato alacremente e con la passione del confronto fino a definirne struttura e articolazioni.
Ma questo numero non è più suo dei precedenti, né potranno esserlo  meno, in certo senso, i numeri che verranno. Se non altro perché il nostro Maestro, forse suo malgrado, è stato capace di lasciarci alle prese con l’ossimoro di un vuoto gravido di pienezza. E in tale pienezza larga, rigorosa e sempre alla ricerca dei nessi problematici che intrecciano formazione e cultura, noi non possiamo che riconoscere l’incedere della sua vita intellettuale, insieme al percorso culturale della Rivista. Così come non possiamo prescindere dalla consapevolezza che questi abbiano finito per essere, per ciascuno di noi e ciascuno nei suoi percorsi, i termini più fecondi del nostro stesso riconoscerci, nei luoghi pur eterogenei del lavoro, del pensiero, della ricerca, dell’operatività, dello studio. Di qui le ragioni profonde di un impegno
che è tanto etico quanto culturale, nel segno di un’ulteriorità che ci vede nei suoi confronti, ancora una volta, timorosamente grati.
Delle Drammaturgie della giovinezza, con lui, si è a lungo discusso. E non solo perché è stato il suo Il tempo della giovinezza a rintracciare in quest’età della vita l’archetipo pedagogico di una moralità che i suoi conti li fa con il
“sentimento tragico della vita”. Ma anche perché la sua pubblicazione, dieci anni orsono, corrispondeva all’esigenza oggi ancor più attuale di sottrarre la decisività di quest’età della vita tanto allo stereotipo paternalistico della
continuità sociale quanto all’allarmismo psicologistico della fine della questione etica. Imbrigliata, dunque, entro la convenzionalità dell’età di passaggio verso la maturità, e rappresentata nella fissità astratta dell’ideale, la giovinezza, secondo Erbetta, rischia di smarrire tanto la sua storicità quanto il suo farsi “percorso problematico in situazione”, compromettendo, con ciò, il suo essere, fondamentalmente, età della scelta e della responsabilità.
È allora lungo questo tracciato che con il Direttore si era a suo tempo riproposta la questione della giovinezza come esperienza cruciale della vita, con l’intento di ricomprenderne gli snodi decisivi. Così, se per Benasayag la giovinezza rischia di essere attraversata dalla sottrazione cinica di un’esistenzialità negata dalla incipiente crisi socioculturale,
è pur sempre grazie alle voci poetiche suggerite da Testa e all’esemplarità del Törless analizzato da Morello che è possibile restituirle lo spessore dell’originario e la potenza significante dell’irrazionale.
Un’esperienza, quindi, quella giovanile, sancita sempre dall’emblematica definitività dell’affermazione di Nizan ripresa in Archivio della memoria, ma poi corredata, di seguito, dalle tracce della storia sociale tedesca primo novecentesca nel trascurato movimento del Wandervögel studiato da Giachery; dall’assonanza, in Michelstaedter, di tragicità e libertà che Baglione riconduce a un’antipedagogia davvero capace di persuasione; dall’esperimento teatrale per l’infanzia di Lady Gregory che, nella prospettiva di Stanizzi, mostra come la portata educativa di senso possa transitare attraverso lingua e linguaggi.  E ancora, seppur con diverso baricentro: nella lettura di un presente che, nella Rubrica di Fulvio Papi, a partire da Stiglitz per riprendere Keynes, interpreta le distonie di un’economia ingannevolmente relazionata all’etica, fino agli Sguardi sul mondo nei quali Friedrich rintraccia nel “nuovo romanzo di famiglia” un’occasione fondamentale per comprendere il trapasso storico della Germania dopo la riunificazione. 

Una questione, quella della giovinezza, che prova ancora a saldare passato, presente e futuro, nel tentativo tutto pavesiano di imparare “il mestiere di vivere”.
Se poi tale tentativo, nell’irrevocabilità dell’assenza, ci costringe a fare a meno della preziosissima Rubrica del Direttore, certo non viene meno, nemmeno in questo caso, il suo destinarsi in partibus infidelium.

Elena Madrussan