Editoriale n. 23 Nuova Serie – Anno XII 2016 – Pensare l’educazione oltre le derive del presente

 

EDITORIALE

Quale educazione sarà possibile per l’io che ha perso familiarità con le sue pulsioni di vita e che pare aver rimosso gli interrogativi cruciali dell’esistenza? E, specularmente, quale idea di formazione può coltivare il ricercatore assoggettato al dispositivo valutativo attuale, quello tipico della
tecno-economia neoliberale?
Due interrogativi, quelli posti, rispettivamente, da Fabbri e da Conte, che basterebbero già a suggellare una prima considerazione: non c’è buona intenzione che tenga: domandarsi che cosa ci sia oltre le derive del tempo presente non significa affatto dare per scontato che un ‘oltre’, nel senso più proprio di ‘superamento’, debba esserci. Né per chi è educato, né per chi educa. Infatti, al di là delle intenzioni – troppo spesso retoriche – e al di là dell’agire educativo – troppo spesso oppresso da attese sociali sproporzionate –, il problema sembra essere innanzitutto quello di recuperare una visione d’insieme sul problema-educazione nel quadro della realtà socioculturale con cui esso fa i conti.
L’idea di cominciare a rispondere ad alcuni problemi contingenti, a circoscritte (vere o presunte) emergenze, e, progressivamente e quasi senza soluzione di continuità, a procedure e a dispositivi normativi spesso cervellotici, ha, di volta in volta, spostato il baricentro dell’attenzione lungo le infinite ramificazioni del problema, smarrendo, di fatto, l’apertura su un orizzonte più ampio. Così che la delicatissima questione del ‘prendere forma’ rischia di arenarsi nel già-dato, perdendo di vista non solo se stessa, ma anche il soggetto incarnato con cui l’educazione fa i conti. Un soggetto, non a caso, sempre più silenziosamente disatteso.
Di qui l’idea che valga ancora la pena di ripensarla, l’educazione, se non altro come tentativo estremo di comprendere il nostro tempo. Infatti, Editoriale 6 nell’attuale quadro di smarrimento culturale ed esistenziale, di perdita del senso e di smentita progettuale si annidano nuovi ed ampi spazi di omologazione
e asservimento. L’esperienza del quotidiano, cui viene negato il tempo della riflessività e la forza della comprensione, rischia di diventare esperienza costrittiva e spaesante, nella quale desiderio e rancore lavorano congiuntamente per inventare paradigmi sempre più astratti e alieni dalla realtà contingente: autentiche fughe programmatiche, volta a volta, o nella benevolenza di un mondo semplice e a misura individuale, o nel livore dogmatico e sterile nei confronti della vita e della storia.
Ora, che sia in direzione di una potenziale “pedagogia clinica” (Sola) o nel segno di una radicale “controeducazione” (Mottana), nella possibile riscoperta del significato dell’educazione e della  reinterpretazione della conoscenza di sé (Bruni), nel perseguimento ostinato di un atteggiamento educativamente inquieto (Madrussan) o nei molti altri modi possibili, nel Seminario di studi che si è svolto a Torino il 20 e 21 Novembre dello scorso anno, si è tentato di indagare i margini formativi di riflessione e di azione che chiamano direttamente in causa la libertà di capire, la problematicità dell’esistenza, il senso della formazione, la consapevolezza soggettiva e collettiva.
Insomma, le declinazioni del pensare l’educazione messe in campo in quell’occasione sembrano aver recepito una duplice esigenza: da una parte, non rinunciare alla dimensione progettuale dell’idea educativa; dall’altra
parte, decostruire alcune delle molte derive culturali che abitano il presente per meglio comprenderne i  dinamismi impliciti, ivi comprese le rispettive stratificazioni storiche.
Il saggio di Mario Gennari, in questo quadro, può essere letto proprio come paradigmatico profilo storico. E di una storicità che restituisce consapevolezza e spessore allo sguardo di chi vuole ricostruire le matrici più antiche dei passaggi d’epoca rispetto a ciò che correntemente chiamiamo formazione.
Complessivamente, dunque, non sembrerà peregrina l’idea di restituire quanto emerso, laddove possibile e per la maggior parte, in versione bilingue. Intanto per offrire un più ampio orizzonte a quelle riflessività.
Poi, per tentare di raccordare queste ad altre possibili ‘dissonanze’.

E.M.