Editoriale n. 24 Nuova Serie – Anno XII 2016 – I dannati della terra ?

EDITORIALE

Nella sua Prefazione a I dannati della terra del 1961 Sartre indicava – involontariamente – due nodi pedagogici di grande attualità. Il primo nodo, in apertura, mostra gli effetti perversi della coincidenza tra educazione ed indottrinamento. Quando “l’élite europea prese a fabbricare un indigenato scelto”, quella fabbricazione prevedeva “il ferro incandescente” di un’istruzione e di un’educazione suadenti, capaci di imprimere nella mentalità del colonizzato “bavagli sonori” e “parole grosse glutinose”: le armi della contraffazione. Il secondo nodo, invece, è nell’evocazione finale delle possibili conseguenze della lettura di un testo – quello di Fanon, appunto – che rivela uno “spettacolo inaspettato: lo streap-tease del nostro umanesimo. Eccolo qui tutto nudo, non bello: non era che un’ideologia bugiarda, la squisita giustificazione del saccheggio”. In questo caso l’educazione è chiamata a ripensare i suoi compiti, facendo innanzitutto i conti con le cicatrici di un’interiorità collettiva – quella ‘occidentale’ – che deve urgentemente imparare a distanziarsi da se stessa non meno di quanto debba fare il colonizzato con il colono.
È, dunque, dalla cogenza di interrogativi tanto radicali che Paideutika tenta l’esplorazione di alcune zone d’ombra della nostra cultura. Chiedendosi, in questo modo, che cosa accade davvero nel passaggio tra l’indottrinamento dei subalterni e l’educazione di tutti i popoli. E, prima ancora, chiedendosi chi sono, oggi, i “dannati della terra”.
Al di là della ricca e composita riflessione sull’interculturalità o sul postcoloniale, si tratta, qui, di passare in rassegna alcuni dei luoghi topici e delle figure tipiche della “dannazione” contemporanea. Non solo per leggerne – o rileggerne, come fa Ellena proprio riguardo a Fanon Editoriale 6 e alla sua diagnosi culturale – i cortocircuiti che si autoalimentano tra vincitori e vinti, tra stanziali e migranti, tra ‘noi’ e ‘loro’ ma anche – e forse soprattutto – per vedere chi sono i ‘nuovi’ discriminati. Vittime della messa in campo – quanto più implicita tanto più effettiva – di giudizi sociali ed antropoculturali violenti e marginalizzanti, la loro aspirazione ad emergere in quanto ‘fenomeno sociale’, accuratamente e pregiudizialmente tenuto celato al senso comune, finisce per descrivere il nostro tempo, per così dire, per proprietà transitiva, molto più di quanto facciano l’esplicita segregazione o la condanna sociale del diverso. E se simili processi di occultamento non sono certo nuovi alla cultura europea e occidentale, bisognerà invece notare quanto sia urgente non solo disvelare l’insipienza e l’inadeguatezza di certi paradigmi interpretativi consolidati, ma anche muovere da essi per imparare a leggere i processi di formazione delle idee che quei giudizi li generano e li radicano – anche noi malgrado – nelle nostre vite quotidiane. E questo tanto nella costruzione delle soggettività, quanto nella esigenza del riconoscimento sociale.
Per queste ragioni, e a partire dall’esigenza di far corrispondere alle esistenze incarnate dei ‘dannati’ il riconoscimento dei diritti sociali e individuali che li rendono ‘persone’ (Giachery), si tratta, in queste pagine, di esplorare territori anche apparentemente lontani tra loro. Quelli geograficamente distanti del carcere messicano di Hermosillo, dove il nesso, tanto caro a Paideutika, di formazione e cultura si traduce in precisi e concreti risultati: mediazione, studio, risignificazione (Bonfanti, De Luise, Morelli). O quelli lontani dall’immaginario corrente sul desiderio e sulla sessualità, dove il transgenderismo e le culture queer, già note nell’ambito sempre più vasto degli studi di genere, cominciano a ricevere voce anche sul piano pedagogico (Burgio). Oppure la lontananza con cui Jabès, da esiliato, alimenta le sue (non)scritture. Condizione, questa, che ne colloca il pensiero e i testi nei labirinti dell’interrogazione – dell’ebraismo della domanda – e, di seguito, di un’interrogazione che interroga se stessa nel difficilissimo tentativo di accettazione del proprio esilio (Pinciroli). In questo contesto trova posto, allora, anche una possibile riflessione critica sull’idea pedagogica – oggi molto in voga – delle “capacitazioni” (capabilities). Un’idea che rischia di alimentare – con conseguenze non di poco conto – le ragioni del suo contrario (la “de-capacitazione”) in assenza di dispositivi critici in grado di prendere le distanze dall’assolutizzazione del pensiero calcolante che le riguarda (Annacontini).
Un piccolo spaccato di mondo, insomma, e di un mondo ancora inombra, la cui pluralità di voci chiede con urgenza proprio a chi si occupa di educazione una riconquista del reale ancora e sempre più spregiudicata di quella corrente.
Una riconquista che valga sia a denunciare le armi della contraffazione, sia ad andare a caccia delle forme di cultura che contribuiscono al loro denudamento.

E.M.

 

 

In riferimento al peer review process Paideutika ringrazia Emauela Abbatecola, Orietta Abbati, Germán Abraham Becerra Romero, Paolo Bertinetti, Gaetano Bonetta, Franco Cambi, Massimo Canevacci,
Piero
Ceccucci, Mino Conte, Mariagrazia Contini, Marco D’Arcangeli, Silvia Demozzi, Vasco D’Agnese, Rita Fadda, Massimiliano Fiorucci, Isabella Loiodice, Raffaele Mantegazza, Anna Maria Passaseo, Dora Sales, Massimiliano Stramaglia, Massimiliano Tarozzi, Aldo Trucchio, Javier Vidargas, Ignazio Volpicelli che, con responsabilità e competenza, hanno valutato i contributi pubblicati nel 2016.