A proposito della sua oramai celebre intuizione sulla “violenza invisibile” Slavoj Žižek affermava che “la violenza oggettiva è invisibile perché sta alla base dello stesso sfondo neutro rispetto al quale percepiamo qualcosa come soggettivamente violento”. Il tentativo del presente numero di Paideutika va proprio nella direzione di porre l’attenzione sulla “gemella invisibile” della violenza “fin troppo visibile”.
In questo senso, riflettere sul rapporto tra violenza e diritto è uno dei primi modi attraverso i quali intraprendere il difficile pedinamento della “violenza invisibile” e, con essa, in realtà, di ciò che intendiamo per ‘violenza’. Lo ha fatto Walter Benjamin, nel momento cruciale del secondo dopoguerra, consentendosi di problematizzare l’assunto per il quale una legge, fondata necessariamente sulla forza, può portare realmente alla giustizia. Qui il rapporto tra “violenza oggettiva” e “violenza visibile” è così stretto – come mostra Pinciroli – che vale forse la pena tener ben salda la complessità che esso reca con sé anche nella lettura dei testi che seguono.
Così, nel caso dell’adolescenza esplorata da Pierangelo Barone, violenza si sposa con irrazionalità, dove però la marca irrazionale non è già-violenta di per sé, ma è, paradossalmente, determinata da un vuoto di conflittualità che rischia di costituire il rimosso che ritorna della generazione attuale. Così pure nel caso delle complesse dinamiche di riconoscimento e di soggettivazione attivate nelle pratiche della relazione educativa. Infatti, nello studio di Gianluca Giachery, per come esse sono indagate, fra gli altri, da Goffman, Agamben, Clastres, la perdita delle finalità educative di ampio respiro dimostra come, di fatto, le prassi amplifichino la loro coercitività implicita, data dal potere del ruolo, oscurandone però significati e paradigmi costitutivi.
Una coercitività implicita che si evidenzia, poi, nei contesti di rischio sociale studiati nell’ambito del Programma di competenza famigliare sviluppato dal gruppo di ricerca dell’Università delle Isole Baleari. Si tratta, in questo caso, di una violenza che non riguarda tanto le condizioni socio-economiche dei minori e delle loro famiglie, ma riguarda piuttosto l’implicita frattura genitori/figli costituita dalla rarefazione di elementari rapporti di comunicazione. Su questi, l’intervento di rieducazione famigliare messo in atto e proposto, offrendo i suoi primi positivi frutti, certifica anche l’urgenza di un’attenzione particolare in tale direzione politico-pedagogica.
Torna più esplicitamente al rapporto con i diritti lo studio di Marta Ilardo a proposito delle Riflessioni su Little Rock di Hannah Arendt. Uno studio che, riprendendo la provocatorietà con cui Arendt rifletteva nuovamente sulla questione dell’uguaglianza e sulla sua confusione con quel “livellamento culturale” che, proprio a partire dalle scuole, rischiava di produrre nuove forme di discriminazione, offuscate, peraltro, dalla visibilità di un’annunciata Riforma scolastica, chiama in causa direttamente i significati plurali del diritto all’educazione.
Di tutt’altro segno, ma non meno importante nell’ambito delle forme della comunicazione culturale, è la “violenza epistemica” che Germana Berlantini evince dallo studio de La haine de la poésie di Georges Bataille. Una violenza, quella finzionale e poetica vista dal filosofo e scrittore francese, dalla quale è possibile far risalire un’etica della conoscenza e un’etica della relazione che individuano nell’educazione della parola e nella razionalità del linguaggio il loro punto d’incrocio privilegiato.
Non estranea a questo discorso è l’ipotesi di Francesco Bossio di ripensare la vecchiaia come il tempo formativo dell’incontro e del riconoscimento, soprattutto se si voglia riflettere, come fa l’autore, sulla violenza insita nell’implicita marginalizzazione, culturale oltre che sociale, dell’anziano.
Se ha ragione Agamben ad affermare che “essere contemporanei significa tornare ad un presente in cui non siamo mai stati” perché “è il contemporaneo che ha spezzato le vertebre del suo tempo”, allora tutto ciò che ci resta è fare “di questa frattura il luogo di un appuntamento e di incontro tra i tempi e le generazioni”. E se per caso non fossimo già troppo in ritardo, è oggi (non domani) il tempo di comprendere cos’è la violenza prima che sia inequivocabilmente evidente che essa, semplicemente, è.

E.M.


 

 

In riferimento al peer review process Paideutika ringrazia Francesca Antonacci (Università di Milano-Bicocca), Serena Billitteri (Università di Cassino), Elvira Bonfanti (Università di Genova – Fondazione Carlo Felice), Elsa Maria Bruni (Università di Chieti), Gabriella Bosco (Università di Torino), Carlo Cappa (Università di Roma-Tor Vergata), Mino Conte (Università di Padova), Mariagrazia Contini (Università di Bologna), Silvia Demozzi (Università di Bologna), Rita Fadda (Università di Cagliari), Paolo Levrero (Università di Genova), Carlo Pancera (Università di Ferrara), Gilberto Scaramuzzo (Università di Roma Tre), Gabriella Seveso (Università di Milano-Bicocca), Giancarla Sola (Università di Genova), Ranieri Teti (Premio Internazionale di poesia Lorenzo Montano), Ignazio Volpicelli (Università di Roma – Tor Vergata), che, con responsabilità e competenza, hanno valutato i contributi pubblicati nel 2018.