Editoriale, N. 3 Nuova serie – Anno II 2006

EDITORIALE

In cerca del protagonista: si potrebbe titolare così questo terzo numero che inaugura il secondo anno di vita della nostra Rivista. Immaginandolo, il protagonista dell’esperienza formativa, come il prodotto della crisi di cultura che, attraversando tutto il XX secolo, sembra infine restituircelo, fragile e opaco, nelle forme scomposte di una soggettività senza nome. Di più e meglio: nella versione molteplice e dissonante di una identità senza fondamento alcuno. E dunque alle prese con uno smarrimento di prospettive che, in ultima istanza, può anche alludere all’irrevocabile disgregazione della sua identità e al declino inesorabile di una qualche forma dell’umano.

Di qui il ricorso alla pagina letteraria, non solo come luogo privilegiato nel quale quella crisi si è manifestata compiutamente, ma anche come straordinaria rivelazione ‘pedagogica’ dei molti significati cui essa rinvia: dalla radicale problematicità dell’esperienza individuale, al relativizzarsi estremo delle sue molteplici provincie di significato; dalla disconnessione dei mondi vitali che la determinano, alla messa in questione di una qualche sua validazione universalistica. Donde la precarietà estrema di qualsiasi progetto di vita che, non potendosi più riconoscere in un ordine condiviso, sembra legittimarsi solo nella bruciante istantaneità di un presente senza orizzonti. Vale a dire in quel punto d’immediatezza dove ciò che resta della coscienza soggettiva finirebbe per candidarsi “a viaggiare leggera di memoria e di passato, a non preoccuparsi del futuro e dei tempi lunghi, a sfumare la differenza tra il reale e il possibile, tra gli originali e i simulacri, tra i materiaux e gli immateriaux”.

Eppure sembra stare solo in questa consapevolezza di crisi – e dunque in una sua rilettura criticamente avvertita – la sopravvivenza di una più autentica responsabilità formativa. Giacché, dove una mera deprecatio temporis finisce per evadere dal dovere dell’interpretazione e dal compito di una attiva comprensione del mondo, soltanto una decifrazione più intima degli urti e dei contrasti consente, forse, di postulare una qualche richiesta di senso. E dunque a tematizzare, in filigrana, un percorso pedagogico di ripartenza fenomenologica.

In questo senso, infatti, l’esperienza della crisi, almeno per come essa si mostra, ab origine, nelle icone letterarie considerate – Hofmannsthal, Valéry, Musil – consente certamente di cogliere il tramonto irreversibile di una soggettività ‘forte’, in sé conchiusa e di sé soddisfatta, salvo riaprire ad una diversa esigenza etica ed intellettuale. Quell’esigenza di ripresentificazione dell’umano che, a partire dalla “demolizione dell’io”, possa tuttavia riconoscersi in “un soggetto costitutivamente implicato nell’alterità e definito dalla forma della relazione”. Dove il nostro “protagonista”, ritrovando il senso di una sua coappartenza profonda, se non potrà mai più vestire i panni di un soggetto destinato a fronteggiare l’oggettività nuda e silente di un mondo compatto e impenetrabile nella sua dura ostinazione, potrà viceversa offrirsi come “cavità in cui risuona il nostro incontro con la carne del mondo”. Suggestioni profonde, queste, che appoggiandosi a tradizioni diverse e a diverse risonanze critiche – là Levinas, qui Merleau-Ponty – in ogni modo riaprono il discorso sulla soggettività, non già eludendo la crisi di cui si diceva, quanto piuttosto rivisitandola con coraggio e con responsabilità.

Di qui, infatti, la possibilità di ripensare il protagonista del percorso formativo – l’uomo alle prese con la propria trascendenza di senso – non più come un modular me “assemblabile acriticamente come le parti di una macchina”, quanto piuttosto come “intrigo di esposizione e domanda che si costruisce nel tempo e con la pazienza”. E dove, se la relazione è “l’essere dell’identità” l’altro e la storia non saranno, per lui, inesplicabili inciampi di un narcisismo ferito, ma luoghi propri – e sensibilmente presenti – del suo destino di formazione. In ultimo della sua moralità messa alla prova.

Antonio Erbetta