Editoriale, N. 11 Nuova Serie – Anno VI 2010 – La scuola in frantumi

EDITORIALE

 

In frantumi? Perché mai? Non è troppo forte e perentoria una simile formulazione? E così via. Quasi a suggerirci, in molti, l’inopportunità di una critica radicale nei confronti di un fenomeno culturale e sociale – la scuola – sovraesposto come pochi altri alle trasformazioni epocali del nostro tempo di vita, sia sotto il profilo individuale che collettivo. Ma anche da molto tempo al centro di molteplici interventi legislativi che, spesso in modo incoerente, strumentale e retorico, finiscono per valere più come atti di smantellamento economico (e dunque ideologico) dello stato sociale che non come progetti strategici di rinnovamento dei percorsi di emancipazione culturale. Quei percorsi che proprio nella scuola dovrebbero trovare, al contrario, il loro decisivo e incessante fronte di realizzazione etico-politica.

Di qui la natura loro malgrado regressiva di quei preoccupati suggerimenti: per un verso gravati, in termini di pedagogismo corrente, dalla retorica di un comune sentire che, a proposito di educazione, non dismette mai l’attitudine all’ottimismo di maniera;

dall’altra reclusi nel mito di una tecnicalità che, per non entrare in rotta di collisione con gli orizzonti del dominio, evoca il dovere di ritrarsi da qualsiasi presa di posizione che giustappunto alluda alla concretezza politica – qui e ora – dell’impegno pedagogico. Come se la scuola, in quanto fenomeno organizzativo proprio della modernità sociale, non sia esattamente il luogo nel quale una civiltà descrive programmaticamente il proprio destino. E dunque come se, a parlare di scuola, ci si possa chiudere nel recinto di saperi tecnici indifferenti al più profondo scopo storico-culturale che ne vivifica l’anima.

 

Orbene: se vale il celebre ammonimento di Kant secondo il quale il compito dell’intellettuale – a costo di rinunciare allo sguardo benevolo e accondiscendente del potere – è quello di precedere il Re con la lanterna accesa e non già quello di seguirlo reggendogli la strascico, la scuola in frantumi non poteva invece che esprimere al meglio, e al contrario di quei suggerimenti, il tono critico di una analisi che, sine ira et studio, entrasse nel merito delle questioni. Secondo una pluralità di voci disposte a coniugare passione civile e competenza culturale.

Così il titolo di questo numero, che restituisce al lettore i contenuti della giornata di studi organizzata a Torino da Paideutika nell’ottobre dello scorso anno, è rimasto tale e quale, perseguendo, per altro, la suggestione che ci era venuta da un libro di Luciano Gallino, L’Italia in frantumi – una raccolta di suoi articoli giornalistici del 2006 –, nel quale il nostro più autorevole sociologo industriale evoca la questione a partire dalla frantumazione del lavoro, non senza tuttavia vedere scuola e università al centro di un processo di disgregazione progressiva che a buon titolo fa proprio della scuola un campo di analisi privilegiato del nostro preoccupante declino culturale e sociale. Certo: a condizione di interpretare l’attualità della crisi alla luce di alcune premesse teoriche di carattere generale che possono tuttavia molto aiutarci a non cadere nella trappola delle polemiche d’occasione. Ma, più ancora, che ci possono fornire strumenti interpretativi adeguati per individuare i nodi prevalenti che presiedono al rischio di quella frantumazione. E fors’anche argomenti meno convenzionali con i quali reagire, con intelligenza culturale e politica, ai rischi gravissimi che oggi corre tutto il nostro sistema formativo – e con esso l’impalcatura civile e sociale del nostro paese.

Il tutto a muovere da una constatazione e da un interrogativo. Se è vero, infatti, che nel tempo della società liquida e dei flussi che alterano la leggibilità stessa del mondo, la scuola – almeno tramite le coordinate materiali di tempo e di spazio che ne caratterizzano l’esistenza – sembra poter faticosamente fronteggiare, in quanto luogo stabile e duraturo, l’esperienza anomica del non luogo, non sarà che l’astuzia di frantumarla, disarticolandola, significa forse annientarla in quanto luogo di resistenza culturale e civile?

Donde l’articolazione delle voci che qui, senz’alcuna pretesa di esaustività, tentano la via di una lettura radicale. A muovere dallo sguardo con cui Marco Revelli, da Presidente della Commissione ministeriale sull’esclusione sociale, ci restituisce i dati concreti su cui poter misurare, con ampio ricorso alla comparazione internazionale, nuove povertà e nuovi bisogni sociali nel loro stretto rapporto con il mondo della formazione. Per poi esplorare, con Mottana e Mantegazza, le risorse e i limiti dell’azione educativa letta secondo le diverse prospettive – talora necessariamente paradossali – che di quella frantumazione/frammentazione si fanno testimonianza rigorosa. Sin alla ricostruzione storica e tematica del problema politico-pedagogico che ha consentito a Franco Cambi di parlare di una vera odissea della scuola. Ma anche d’indicare, con spirito antidogmatico, le sue urgenze di prospettiva.

Eppure tali analisi tanto più ci si rivelano efficaci quanto più esse si saldano alla dimensione militante che, documentata nella Tavola rotonda, dà vita al franco e preoccupato dibattito tra Angela Nava Mambretti, Mario Ambel, Paola Pozzi, Luigi Saragnese. Ovverosia tra genitori, insegnanti, donne e uomini della politica, tutti chiamati – e ciascuno da un angolo di visuale che non si piega mai su se stesso – a testimoniare l’urgenza, nazionale e territoriale, di una rinnovata ‘difesa della scuola’: delle sue competenze, della sua generosità civile, del suo compito di civiltà.

E così via, come nelle diverse Rubriche e nei diversi accenti che caratterizzano i molti contributi. Laddove ad una ‘scuola in frantumi’ si contrappone, in filigrana, una intelligente capacità di ripensamento e di impegno che nulla concede alle anime belle in cerca di facili consolazioni. Ma che rinnova, semmai, il senso di una lotta delle idee come unica vera condizione di progettualità formativa.

Impegno e progettualità che, da ora in avanti, troveranno un ulteriore e ficcante riferimento etico e intellettuale nelle pagine della nuova rubrica Oggi un filosofo tenuta da Fulvio Papi. A lui, dunque, la gratitudine di Paideutika per averci messo a disposizione, con esemplare generosità, la sua straordinaria autorevolezza culturale. A tutti noi, suoi lettori, il dovere di meritarcela, giorno per giorno, con la dedizione di un ascolto intelligente e puntuale.

 

Antonio Erbetta