N. 16 Nuova Serie – Anno VIII 2012 – Intellettuali Educatori

 

EDITORIALE

 

Tra le molte articolazioni possibili del rapporto tra formazione e potere quella relativa al ruolo dell’intellettuale non è certo né la meno importante né la meno problematica. Se Élémire Zolla, nel suo Eclissi dell’intellettuale, individuava le ragioni della pericolosità dell’intellettuale in quella “capacità di diagnosi che è consentita dall’elasticità non specialistica dell’educazione” e se, da allora ad oggi, proprio quell’umanismo aspecialistico è stato il bersaglio privilegiato di tanto razionalismo economicistico, allora vale forse la pena di riprendere la questione. Magari a partire dalla critica alla “barbarie dello specialismo” denunciata da Ortega y Gasset e qui riproposta nelle pagine di Archivio della memoria. Una critica utile non tanto alla discutibile individuazione, oggi, di una rinnovata identità dell’intellettuale, né a squadernare la galleria delle sue inesorabili ambiguità, né, ancor meno, a denunciarne malinconicamente l’assenza, quanto, piuttosto, a tentare di ripercorrere quell’etica della responsabilità insita nel “lavorare a livello di evento per produrre eventi concreti”. Infatti, questa era, per Sartre, l’unica attività possibile dell’intellettuale: l’impegno concreto di colui “di cui gli altri dicono che si occupa di ciò che non lo riguarda”. Con ciò, per Paideutika, si tratta di cogliere la tensione tra impegno intellettuale ed educazione nel lavorìo di smascheramento e di creazione dell’evento. Una tensione costituita dalla fatica paradigmatica di far accadere un’alterazione dello sguardo e della sua sintassi. A dire che, semmai, la funzione dell’intellettuale non sta tanto nella propria ri-codificazione, quanto nella sua capacità – educativa – di stanare i luoghi retorici della parola per accentuare la nuda materialità delle condizioni storiche che essi vorrebbero nascondere.

Di qui, allora, le diverse proposte di questo numero: dagli strappi e dai legami che fanno di un itinerario di studio – quello di Canevacci – la chiave di comprensione etnografica di sé e dell’altro nel difficile rapporto tra istituzionalità del sapere ed esperienza del conoscere, all’indagine sociale e civile del cinéma vérité inaugurato da Morin e Rouch, di cui Simonigh mostra la curvatura testimoniale e formativa attraverso l’acutezza (anche drammatica) di una giovinezza in mutamento. Oppure: dalla dirompenza performativa utilizzata dall’Internazionale
Situazionista come esercizio critico su una quotidianità deliberatamente deformata dall’alienazione produttiva, letta da Berlantini in quanto azione  (anti)pedagogica, alle parole-indizio che hanno fatto della riflessione di Derrida, ben al di là della stucchevole rappresentazione sloganistica che se ne è data, la dimostrazione di come un filosofo possa agire pensando. Dove lo studio di Pinciroli, nella fattispecie, intreccia aspetti politici – democrazia e salvaguardia dell’alterità, per esempio – e motivi filosofici – opposizione metafisica e semantica della scrittura – in una fucina di parole che pare costruita apposta per albergare nel soggetto “a-venire”. Senza trascurare – anzi: tenendolo come sfondo complessivo – il peso che ha, da qualsiasi angolazione la si voglia vedere, l’impronta del potere economico-sociale e politico – e del suo linguaggio in particolare – sui processi educativi di cui Papi, anche dalle pagine della sua Rubrica, si fa interprete e di cui richiama l’attenzione sugli effetti sociali e culturali. 
E via via, fino alle curvature solo apparentemente più attese di due figure-chiave d’intellettuale. La prima, quella dell’accademico, impersonata qui da Pietro Chiodi, viene sagacemente sottratta da Cesare Pianciola alla ovvietà dei paradigmi che usualmente la vorrebbero descrivere: un Chiodi forse troppo trascurato, che, tra aule e fucili, ha invece dato corpo e vita ad una vera e propria pedagogia del possibile attraverso “i molti modi in cui fu maestro”. La seconda, quella dell’intellettuale ‘scomodo’, che riconosce in Pier Paolo Pasolini, oltre al profetico poeta del nostro tempo, il meno noto viandante che, secondo Massara, tra chilometri macinati e metafore messe in scena, ha battuto soprattutto le strade di un’educazione ‘periferica’ tenacemente attenta alle pieghe di un’umanità inattesa e generosa. 
In cammino, del resto, sembra essere anche la “voce di Saramago”, nelle cui risonanze Depretis sente l’eco del viaggiatore cantato da Machado.
Quello, straziante ma liberato, che può trovare sollievo dalla crudeltà del male soltanto e sempre nel suo andare. Il tutto con l’idea che questi percorsi intellettuali dell’educare possano forse valere come strumentario metodologico di critica del reale, evocando essi stessi alcuni modi dell’agire e del pensare che fanno della formazione l’esercizio di un potere extra-ordinario.

Elena Madrussan

In riferimento al peer review process Paideutika ringrazia Orietta Abbati (Università di Torino),
Paolo Bertinetti (Univerità di Torino), Gabriella Bosco (Università di Torino), Enza Colicchi (Università di Messina), Mariagrazia Contini (Università di Bologna), Rita Fadda (Università di Cagliari),
Antonio Genovese (Università di Bologna), Paolo Mottana (Università di Milano-Bicocca), Gabriele Scaramuzza (Università Statale di Milano), Ignazio Volpicelli (Università di Roma Tor Vergata) che, con
responsabilità e competenza, hanno valutato i contributi pubblicati nel 2012.

 

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