N. 17 Nuova Serie – Anno IX 2013 – Per un’educazione come critica dell’educazione

 

EDITORIALE

 

Perché, oggi, pensare l’educazione “come critica dell’educazione”? In che senso rintracciare nel binomio crisi-critica l’eredità intellettuale forse più pervasiva e profetica di Antonio Erbetta?
Quando il 30 e 31 Marzo 2012 si è svolto a Torino il Convegno di studi pedagogici in suo onore, promosso dall’allora Facoltà di Lingue e Letterature Straniere e dall’allora Dipartimento di Scienze dell’Educazione, a caratterizzare l’iniziativa è stata la convinzione che il miglior modo per rendergli davvero omaggio fosse tentare di continuare a fare della vita di cultura – come lui stesso ha più volte sottolineato – l’occasione privilegiata di una riflessione limpida e aperta, al servizio della comprensione del nostro tempo. Un’idea, questa, che tutti i convenuti, dai relatori ai partecipanti agli organizzatori, hanno vissuto come testimonianza dell’esigenza antiretorica di ricordarne l’impegno lavorando ancor più intensamente al proprio.
Così, a radunare alcune tra le più significative voci della cultura pedagogica italiana è stata la possibilità di riflettere attorno all’idea di “educazione come critica dell’educazione”, che non solo è il frutto forse più noto della riflessione pedagogica di Antonio Erbetta, ma che ha anche permeato radicalmente tutto il suo lavoro intellettuale: quello contenuto nei suoi libri, quello di professore, quello di interprete dei mutamenti sociali, quello di organizzatore culturale ed anche, per molti versi, quello di fondatore e Direttore di Paideutika.
Un tema, peraltro, particolarmente attuale perché carico di interrogativi e di orizzonti possibili. Non a caso, gli studi ospitati in questo numero di Paideutika, che felicemente raccoglie gli esiti di quell’occasione culturale, ne restituiscono tutta la poliedricità di senso, catturata sia nella tensione etico-culturale del lavoro interpretativo sia nell’atmosfera rammemorante che, più o meno sottotraccia, ne colora gli sfondi.
Tanto che la portata di senso della critica in educazione, sia essa intesa come riflessività non adesa al senso comune o alle pratiche correnti, sia essa colta quale ‘snodo critico’ del percorso formativo soggettivo, si declina nelle molte forme argomentative e tematiche affrontate nei saggi: dai possibili significati della ‘critica’ in pedagogia e dalla necessità costante del ripensamento ermeneutico suggeriti da Cambi, al permanente confronto tra ideale e reale nell’utopia, analizzato da Colicchi quale matrice del principio di decisione e del principio di realtà in educazione; dal processo formativo inteso come atto politico il quale, nella riflessione di Spadafora, concentra in sé la finalità ultima della stessa pedagogia, oltre che dell’agire libero e responsabile del soggetto-persona, al rischio di alterare, di rimuovere o di “anestetizzare” la forza generatrice del polemos dai processi educativi che, secondo Mantegazza, finisce per produrre conflittualità ingovernabili. Allo stesso modo, è nell’invito di Gennari a tenere uno sguardo criticamente diffidente sulle definizioni della nostra contemporaneità che la formazione dell’uomo opera in funzione di un ‘vedere’ che sia innanzitutto e soprattutto un ‘pensare’. Così come la riflessività proposta da Contini in stretta connessione con l’empatia diventa la possibilità di costruire una relazione educativa capace di restituire all’altro la problematicità della sua stessa libertà. Ma il pensare come azione critica del soggetto e dell’educazione può essere colta nelle sue rifrazioni più radicali anche nell’esperienza del limite, tanto significativa per Erbetta, e ripercorsa da Mottana come necessario “salto di prospettiva”. Forse per questo, tra l’altro, il rapporto tra fenomenologia dell’esperienza e della realtà viene a configurarsi, secondo Tarozzi, come spazio della domanda e della ricerca, sia esso il luogo esistenziale di esercizio dell’intelligenza curiosa o quello interpretativo della dimensione empirica e descrittiva dell’educare.
E se in definitiva tutti questi temi s’intrecciano inesorabilmente tra loro, a farne da collante è certamente la questione etica. La quale, ripercorsa storicamente da Volpicelli, pone all’agire educativo e al pensare pedagogico l’urgenza di riprofilare nell’attualità di senso una prospettiva pienamente e consapevolmente determinata, oltre che a farsi carico, responsabilmente, della problematicità delle origini dell’etico tanto quanto delle conseguenze che l’agire etico-educativo ha sul futuro. Del resto, sulla medesima falsariga si muovono anche le Rubriche e le recensioni di questo numero. Nelle parole di Italo Bertoni, cui è dedicato l’Archivio della memoria, vi è non solo la ricostruzione lucida e disincantata delle ragioni della fine di un’epoca, ma anche – e per noi soprattutto – l’istanza morale di un reale decentramento da sé e dalle proprie rassicuranti visioni del mondo. Nel ricordo di Fulvio Papi è sensibile la tensione tra l’attuale disperante situazione economico-sociale e l’esigenza educativa di resistere alla sua stupida asseveratività. Dal percorso di formazione evocato da Magnoni emerge l’urgenza critica di continuare sempre a fare dell’operatività pedagogica l’occasione concreta di ripensamento e di reinvestimento del ruolo formativo ed esistenziale dei soggetti coinvolti. E a regolare lo studio di Friedrich sullo spazio e sui suoi margini è l’esigenza di riconsiderare autocriticamente le sedimentazioni culturali e percettive eurocentriche a cui finiamo troppo spesso per aderire, anche ideologicamente. Tutte questioni, come si vede, che, nell’ampio arco di temi, letture, esperienze, memorie, finiscono per cogliere appieno, tra le infinite sfumature del possibile, quell’eredità critica di cui si diceva. Un’eredità culturale e umana per la quale è valsa, allora, la pena di curvare l’attenzione interrogante di ciascuno sin all’estremo limite dei propri dintorni vissuti. Fino a fare di questo numero monografico un’ulteriore occasione, per Paideutika e per i suoi lettori, di impegno critico e di proposta culturale.

Elena Madrussan

 

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