N. 19 Nuova Serie – Anno X 2014 – Poetiche del gesto
EDITORIALE
Dall’estensione delle “geografie del corpo” alla essenzialità delle “poetiche del gesto”, il rapporto tra soggetto e mondo passa attraverso gli infiniti significati del movimento. In questo numero Paideutika guarda al gesto intendendolo ora come movimento minimale inconsapevole ora come emblema di un’espressività cercata: dalla gestualità più abituale alla prossemica codificata, dai segni di riconoscimento individuale ai paradigmi espressivi di un’arte.
Per questo, nella consapevolezza che l’abitudine sa bene come tradire la conoscenza, vale forse la pena di ripercorrere le tracce lasciate da alcuni di quei gesti, osservandoli da un’angolazione che li renda meno scontati per tornare ad essi con rinnovata attenzione. A cominciare da quel movimento corporeo che, secondo Semerari, va dalla espressività necessaria a quella profonda, in cui il volto, lo sguardo e la voce diventano epicentri dell’autentico: veri e propri linguaggi capaci di modellare (anche eticamente) l’espressione verbale. Per proseguire, poi, con tutt’altre parole che dicono il gesto, come nello studio di Margarito, dedicato alla lessicografia del corpo e, in particolare, alle azioni del camminare e del correre, interpretate, nelle loro varietà d’intenzione, anche come modalità di ‘scrittura’ della propria soggettività.
Sul piano simbolico ed artistico, poi, il ruolo privilegiato del gesto nella danza – o della danza sul gesto – è sicuramente una chiave di comprensione culturale da riesplorare. Per questo, mettendo a confronto i paradigmi della danza classica occidentale e orientale, Guzzo Vaccarino mostra come la gestualità danzante sia uno degli strumenti culturali più ricchi per la trasformazione degli archetipi (universali) di bellezza. Del resto anche la gestualità messa in scena dall’attore – e di quello del Tarkovskij letto da Dimitri in particolare – ha una funzione decisiva sia per la rappresentazione iconografica di un’idea sia per la costruzione dell’immaginario nello spettatore.
Per altro verso, il movimento itinerante, quello materiale che attraversa i continenti e quello scritturale che li descrive e rappresenta, lascerà, allora, aperte e libere le strade della ‘nuova’ letteratura ‘non accademica’, in cui posture gestuali davvero altre, moltiplicate per le culture dei Paesi d’origine degli Autori presi in esame da Vezzaro, producono, anch’esse, poetiche ben più articolate e polimorfe rispetto a quelle consuete.
Senza dimenticare, nel ventaglio delle esperienze gestuali, quelle varianti del movimento corporeo che, lontane dall’arte, provengono dalle mosse immaginate, immaginarie o immaginabili in ambito terapeutico, come nel caso del Bettelheim proposto da Calvetto o degli interventi di supervisione educativa su cui lavora Bosco. Due contesti radicalmente differenti, questi, che, tuttavia, si rivelano prossimi rispetto ai rischi di una corporeità mal interpretata. Nel primo caso ad emergere sono le conseguenze pedagogiche della “perdita dell’anima” (Seele), impoverita dalla sua impropria sovrapposizione con la ‘mente’ e per questo orfana di una intera gamma di rappresentazioni del rapporto tra individuale e sociale. Nel secondo caso, all’interno di un contesto di supervisione educativa su pazienti psichiatrici, a farsi largo sono le contraddizioni fuorvianti che provengono da una concezione del gesto di cura e della corporeità del paziente nella dimensione esclusiva della ‘riparazione’.
Se è vero, però, che a decidere la cifra delle cose è sempre lo sguardo di chi le osserva, le variazioni sul tema qui proposte non fanno che suggerire ulteriori ‘poetiche del gesto’ da esplorare per proprio conto. Fino a costruire, se ci si riesce, il proprio piccolo e modestissimo compendio all’idea nietzscheana che “la trasformazione del gusto collettivo è più importante di quella delle opinioni”.
Elena Madrussan
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