È nel rapporto tra prossimità e distanze che questo numero di “Paideutika” trova la sua composizione: nell’approssimazione a figure lontane, magari appena intraviste, e nella scoperta della differenza da ciò che sembrava già noto o nel ritrovamento di qualcosa di perduto.
Così, grazie alle dissolvenze messe in gioco da Flavio Ermini, esperire l’esilio della vita significa ritrovare il coraggio perduto: quello del lieto fine. Non un ‘lieto fine’ consolatorio, ma il fine “lieto” del “nuovo mattino” che attende ciascuno nel suo incontro con ciò che è essenziale.
Anche nel caso di Amelia Broccoli si tratta di un ritrovamento. Riguarda le proprietà di virtù e saggezza, riconquistate, dopo il tempo lungo della disaffezione, al senso pedagogico di un’etica antiprecettistica e anticonformista. Un’etica della virtù e della phronesis il cui statuto, rivisitato alla luce della praxis educativa, può essere riconosciuto, ora, nella sua stretta prossimità al nostro educare.
Ma è tornando alla seconda metà dell’Ottocento in compagnia di Silvano Calvetto che, a proposito di consapevolezza storica e di prassi educative, è possibile riconoscere l’ambivalenza di prossimità e distanza. In particolare, nelle ragioni e nelle difficoltà della alfabetizzazione di massa necessaria alla costituzione del sentimento d’appartenenza nazionale e della sua parentela, tutt’altro che innocua, con indottrinamento, socializzazione e produttività.
Altre distanze sono quelle geografico-culturali. Anch’esse, quando coltivate nel segno della narrazione cinematografica o letteraria, sanno nascondere nuove e inaspettate prossimità. È il caso delle esperienze di “formazione a rischio” descritte da Irene Papa e da Sveva Peluso: due giovani studiose che, rispettivamente, grazie alla storia raccontata da Shane Editoriale Meadows e alle vite descritte da Fernando Vallejo, evidenziano la facilità con la quale è possibile plasmare giovani coscienze alla violenza e alla criminalità. A dire, con ciò, della universalità e della persuasività ‘pedagogica’ di linguaggi e di riti d’affiliazione che hanno segnato e segnano i destini di chi vive ai margini sociali, nell’Inghilterra naziskin degli anni Ottanta o nella Colombia degli anni Novanta non meno che nell’attualità delle nostre periferie. Qui il tradizionale rapporto tra autorità e libertà in educazione è investito da una rinnovata problematicità, estrema e incarnata. Nel perenne e vitale pulsare della educazione implicita nei processi di mimetismo sociale s’annida, infatti, il cocente segno delle prossimità più inconsapevoli e più forti.
D’altra parte, sul piano della scolarità e dei suoi dinamismi interni di insegnamento e apprendimento, è con l’ipotesi di Rømer di invertire il nesso di causalità – dall’insegnamento all’apprendimento e non viceversa – e di considerare l’insegnamento come variabile solida e non debole, che è forse possibile ristabilire qualche prossimità con alcuni essenziali significati dell’educare, come il dono e il rischio.
A guardare, poi, la formazione degli insegnanti così per come essa è concepita dalla più recente riforma dell’istruzione francese, non si noteranno soltanto gli effetti di certa omologazione ‘pedagogica’, ma si porrà in evidenza, grazie alla riflessione di Marta Baravalle, la necessità di prestare maggiore attenzione allo sguardo dell’insegnante, sia nella scuola sia fra i decisori politico-istituzionali.
Ancora in bilico fra prossimità e distanza è poi la voce ‘Filosofia’ recuperata dal Dizionario critico di André Lalande, da cui trarre, magari, qualche considerazione sulla necessità degli studi “con alto grado di generalità”, la cui prossimità con il senso complessivo del conoscere potrebbe animare oggi importanti dibattiti pedagogici.
Ma è nel racconto partecipato ed ironico di Steve Della Casa che le prossimità involontarie, quelle imposte e quelle impossibili, emergono nella quotidianità dell’ascolto. Lo sa bene chi ama la sagacia corrosiva di “Hollywood Party” e l’esperienza cinematografica descritta come esperienza della realtà. Un ringraziamento particolare a Della Casa, dunque, per aver regalato anche ai lettori di una Rivista come “Paideutika” il piacere schietto e colto di una lettura non accademica.

E.M.


 

 

In riferimento al peer review process Paideutika ringrazia Francesca
Antonacci (Università di Milano-Bicocca), Pierangelo Barone (Università
di Milano-Bicocca), Elsa Maria Bruni (Università di Chieti-Pescara),
Giuseppe Burgio (Università Kore, Enna), Massimo Canevacci (Universidad
Federal de Santa Catarina, Brasil), Carlo Cappa (Università di Roma-Tor
Vergata), Mino Conte (Università di Padova), Giancarlo Depretis (Università
di Torino), Silvia Demozzi (Università di Bologna), Dario Forti (Ariele,
Associazione di psicosocioanalisi), Michele Lorè (Università Niccolò Cusano),
Raffaele Mantegazza (Università di Milano-Bicocca), Mariagrazia Margarito
(Università di Torino), Cristina Palmieri (Università di Milano-Bicocca),
Roberto Santoro (Università di Torino), Gilberto Scaramuzzo (Università di
Roma Tre), Vincenzo Schirripa (Università LUMSA, Roma), Furio Semerari
(Università “Aldo Moro”, Bari), Gabriella Seveso (Università di Milano-
Bicocca), Giancarla Sola (Università di Genova), che, con responsabilità e
competenza, hanno valutato i contributi pubblicati nel 2017.