Erbetta, A. (1983). La pedagogia come teoria della cultura. Milano: Marzorati. 89-90.

 

[L]’impegno di educarsi rivela qui lo spessore morale implicito nell’idea di una responsabilità che accompagna l’uomo nel suo indagare senza posa: non v’è scoperta senza rischio, ma il correrlo responsabilmente significa piegare, con un atto di lucidità intellettuale, il fascino del reale al servizio di una avveduta razionalità culturale. In tal senso l’esperienza – nel suo significato più propriamente etico-pedagogico – non segna un processo casuale di acquisizioni acritiche, ma piuttosto si rivela come cultura, esigendo con ciò per sé una consapevolezza intellettuale al fondo della quale vive la diretta intenzionalità dell’uomo di autodirigersi, di affermarsi appunto come libero protagonista del proprio destino culturale. Per cui educare attraverso l’esperienza equivale a sancire il primato di una coscienza culturale che programmaticamente esige da parte dell’uomo una consapevolezza critica irrinunciabile: l’educere è un experiri che, come essenziale ed ambiziosa struttura del sapere, chiede all’uomo di farsi colto per farsi libero. […]

L’uomo in quanto cultura non rappresenta dunque una vuota formula generata da una astratta ed aristocratica intellettualità, bensì esprime la complessità etico-pedagogica dell’educere come experiri, il cui carattere fondante sta in un atteggiamento irrisolto di ricerca. E in quanto unendend quest la vita, il destino dell’educazione sembra consistere non già nell’attuazione talmudica, in chiave addestrativa, dei predetti di una “scienza” precostituita, ma piuttosto nella costituzione originale di uno stile culturale di cui l’uomo deve portare la responsabilità e l’impegno. Con ciò, non solo la pedagogia è chiamata all’esercizio autocritico, ma anche e soprattutto all’impegnativa scelta di un orizzonte che la faccia uscire dall’infecondo dilemma – scienza pura o scienza applicata? – nella scoperta di un ben più problematico compito: assumersi l’onere di una costituzione di modelli culturali aperti, verso i quali l’educazione – attraverso il contributo ineliminabile dell’experiri – deve tendere lo sguardo. Educazione, esperienza e cultura lasciano così intendere un intreccio di significati all’interno del quale ciascun termine è chiamato a svolgere, contemporaneamente, una funzione generativa un ruolo di mediazione, un compito di rappresentazione teleologica, in quanto espressioni di una medesima condizione: la consapevolezza che l’umanità è, nell’uomo, un farsi ininterrotto, un indagare senza posa, un tendersi compiutamente nell’ulteriorità.